09-03-2020
Nel nostro dolore, Dio non è solo Dio, ma è Padre: siamo custoditi nella Sua mano e dona coraggio al nostro cuore; ci è compagno di cammino lungo la via crucis di questi nostri giorni.
Il tempo scandisce ogni nostro attimo ed ogni attimo è tempo santo, tempo di Dio. A volte sembra che nulla possa fermare l’inesorabile scorrere del tempo, spesso ci ritroviamo in balia delle onde con la paura di affogare. Ci sono momenti, nella vita, in cui vorremmo fermare il tempo, ma sappiamo che non possiamo farlo. Lo stiamo sperimentando in questi giorni di paura e di preoccupazione. La paura di ammalarci o che si ammali chi amiamo, la paura che il nostro lavoro risenta spietatamente degli effetti delle misure precauzionali, la paura di non poter riabbracciare i nostri familiari ed amici, la paura dell’incertezza sul come finirà. La paura, improvvisamente, di perdere tutto. La paura di cambiare le abitudini del nostro modo di vivere.
Ma se ci fermassimo un attimo e ci raccogliessimo nel nostro silenzio, capiremmo anche che questo non è il tempo in cui far prevalere la paura. È un tempo, magari più faticoso di altri tempi, ma pur sempre un tempo, da accogliere, abitare e vivere.
Ci guardiamo e cerchiamo di cogliere ovunque segni di normalità, e mai come in questo momento chi cammina sorridendo ci porta respiro, primavera, serenità, comunione, fraternità, pace. Il senso di comunità. Comunità che semina speranza perché è capace di andare oltre, di vivere anche questo tempo e di viverlo da dentro. comunità che ha il dovere della speranza, la responsabilità della speranza.
Sulla parete delle nostre sacrestie, nella nostra diocesi, c’è una foto e su quella foto uno scritto: “Questo è il nostro tempo. Qui e ora. Siamo chiamati non a salvare il mondo ma ad amarlo. Avversari dell’assurdo, profeti del significato.” Anche in questo tempo c’è un’alternativa all’assurdo, da ricercare con tenacia, da scoprire con fiducia.
Questo potrebbe essere, allora, il tempo della memoria, tempo in cui ricordare, portare alla mente e al cuore quei momenti in cui abbiamo fatto esperienza della presenza di Dio che ci ha soccorso e consolato, ci ha preso per mano e rialzato. E Dio non abbandona. Per questo è anche il tempo dell’attesa, il tempo del sogno, della semina e della cura del seme. Un tempo per fare spazio, per liberarsi dalle cose che ingombrano e provare a tornare all’essenziale. A riappropriarci degli sguardi che consolano, dei sorrisi che stringono, del parlarsi senza dirsi parole. Un tempo per fare silenzio e ritornare a quell’Amore sorgivo che dona senso alla vita, per prendersi più cura di se stessi e di Dio in noi, per tornare a sentire il Maestro che, ancora oggi, chiama i suoi discepoli a non rimanere prigionieri delle paure o della rassegnazione… ma a vivere, avversari dell’assurdo, profeti del significato.
La paura che ci prende è umana e ci occorre. Ma non possiamo permettere alla paura di farci del male, di sottometterci, di possederci. Non lasciamo che l’assurdo si impadronisca della nostra vita.
Ritornerà il tempo in cui potremo tornare a prenderci per mano e a stringerci in un abbraccio. E non sarà più scontato, impareremo a riappropriarci del sapore del tatto.
Ritorneranno a suonare le campane che annunciano la Santa Messa ma intanto proviamo noi a diventare ciò che quel pane significa. Già nel Vangelo di Giovanni l’Eucarestia è sostituita da una brocca e da un catino… Il pane spezzato diventi visibile nei nostri gesti di carità. La distanza fisica non annulli ma rafforzi il senso della comunione fraterna. Proviamo a farci vicini attraverso gesti concreti di attenzione: possono essere gesti semplici ma carichi di significato.
Vorremmo che l’oggi fosse già quel domani in cui tutto sia passato. Ma abbiamo dalla nostra parte il tempo. E questo tempo, del silenzio, del riscoprirsi, del reinventarsi. Il tempo di una nuova possibilità. Possibilità di riscoprire il senso della nostra umanità, di un’umanità che ha bisogno di umanità, di un silenzio che si faccia preghiera perché qualcuno da molto lontano lo sta già benedicendo.
Anche in questo tempo vi è un significato da svelare, un senso da annunciare, una verità utile ad orientare, ritrovando nell’oggi nuove rotte per il domani!
Questo è il nostro tempo. Qui e ora. Siamo chiamati non a salvare il mondo ma ad amarlo. Avversari dell’assurdo, profeti del significato.
Accorciamo le distanze con la vicinanza relazionale. Non sconfiggeremo il virus se saremo più soli, ma se saremo più vicini, seppur in una distanza a prova di contagio. Non usciremo da questa prova isolando noi stessi e gli altri, ma creando ponti capaci di non far andare alla deriva nessuno, cominciando dai più deboli, da chi fa più fatica.
So già di diverse parrocchie in cui sono stati promossi momenti di preghiera in streaming. Ringrazio tutti i parroci che si sono attivati in questo senso e tutti quelli che lo faranno nelle prossime ore. È un modo per continuare a “rimanere connessi”, per costruire rete. Lo farò anche io, a partire da domani, ogni sera alle ore 19.00 con la recita del Santo Rosario e la Benedizione Eucaristica, il venerdì con la Via Crucis, in diretta dalla pagina Facebook della diocesi.
Ai monasteri di clausura presenti nella nostra terra: oggi più che mai abbiamo bisogno di voi! Aiutateci a coltivare la speranza.
Un ultimo pensiero, per i sacerdoti: chiedo loro di farsi ancora più prossimi e attenti ai bisogni dei fedeli, all’ansia e alla paura che vivono, ponendo gesti di carità pastorale che siano sacramento di vicinanza e ministero di consolazione. Se non noi, chi? Se non ora, quando? E anche per questo vi invito, cari fratelli sacerdoti, questo giovedì mattina, 12 marzo, nella chiesa cattedrale di Cerreto Sannita, alle ore 11.00, per un momento di preghiera, di adorazione, insieme, per tutta la gente che il Signore ha affidato alla nostra cura, per il popolo che siamo chiamati a servire. Tranquillo, fratello, non ci sarà assembramento (siamo pochi) e la cattedrale è molto grande. E lo faremo a porte chiuse (purtroppo). E alla preghiera, se vuoi, seguirà il digiuno… si, salteremo il pranzo, faremo insieme digiuno… è solo un segno, ma noi sappiamo qual è il significato di questo segno, unito alla preghiera.
Ecco: siamo la Chiesa che sperimenta l’umanissimo travaglio della perplessità, della preoccupazione, e condivide con tutti la più lancinante delle sofferenze, l’insicurezza. Una Chiesa sicura solo del suo Signore, e per il resto debole, fragile, bisognosa di tutto. È la Chiesa del Vangelo.
Coraggio, Chiesa… Chiesa samaritana, lenisci le piaghe con l’olio della tenerezza, curale con l’aceto della profezia. Mettiti accanto a chi soffre e fallo con gratuità. Coraggio! Alzati, non temere!
† don Mimmo, vostro Vescovo